La felicità delle sorelle Bennet_Capitolo 1
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  1. La felicità delle sorelle Bennet_Capitolo 1

    La signora Bennet di Longbourn-house, nello Hertfordshire, non poteva che congratularsi con se stessa, era merito suo, infatti, se nel giro di un anno tutte le sue cinque figlie avevano felicemente trovato marito. Certo per quanto riguardava Lydia e Lizzy, forse, qualcuno avrebbe potuto obiettare che non era stata lei la fautrice di quelle unioni, ma questo era una dettaglio di poco conto.
    Cinque figlie che non avrebbero potuto contare su una gran rendita, sposate, e così la signora Bennet era passata dall’essere compatita e commiserata per le sue gravi disgrazie, all’essere invidiata ed ammirata per la sua inaspettata fortuna. E lei ne era consapevole al punto di aver trasformato i suoi the del giovedì, in una occasione ulteriore per raccontare le vicende, più o meno note, del suo successo sottacendo, però, con grande accortezza, quei particolari che potevano essere motivo di biasimo. Così, mai, un accenno avrebbe potuto fare alla poco accorta e disgraziata fuga di Lydia con il signor Wickham, né, tanto meno, all’increscioso rifiuto di Lizzy alla proposta del cugino, il reverendo Collins, fino a gettarlo letteralmente tra le braccia di Charlotte Lucas. Certo, poi Lizzy aveva fatto capitolare l’antipatico, altezzoso, superbo signor Darcy, 10.000 sterline di rendita annua, ma al momento che aveva contrapposto il suo diniego categorico alle 700 sterline annue del cugino Collins, non conosceva ancora cosa il futuro avrebbe avuto in serbo per lei.
    La signora Bennet continuava a mantenere il punto sul matrimonio della signorina Elisabeth dal quale, secondo lei, non ne poteva venire nulla di buono. Lizzy e il signor Darcy appartenevano, per nascita, patrimonio, titoli e rango sociale, a due mondi lontani e non bisognava sfidare il buon senso e le convenzioni se si voleva continuare a far vita di società. La signora Bennet era tanto ferma nelle sue convinzioni rispetto alla scelta della sua secondogenita, quanto fiera per quello che considerava il suo capolavoro: il matrimonio delle signorine Kitty e Mary. E di questo non si stancava di relazionare le signore di Meryton invitate al the del giovedì.
    «Fu il giorno dopo quello dell’inattesa proposta di matrimonio del signor Darcy, che la carrozza del signor Devron ruppe l’asse proprio dinanzi all’ingresso al nostro giardino.»
    La signora Bennet si interruppe per servire alla signora Wilkinson, una vedova che tanto aveva decantato la sua natura, accorta e tempestiva, per l’essere riuscita a trovare marito a due figlie le quali avrebbero goduto di una rendita annua di sole 900 sterline.
    La signora Wilkinson rimase con la tazza a mezz’aria umettandosi le labbra come può fare un bambino in attesa di una leccornia. «Ed è stato allora che voi l’avete accolto in casa?» Cercò di incalzare.
    La signora Bennet si aggiustò il volant dell’abito e scacciò con lentezza una ciocca di capelli dal volto, poi, però, il desiderio di elogiarsi per la propria insuperabile abilità di madre nell’assicurare un futuro degno alle proprie figlie, ebbe il sopravvento e riversò, senza ulteriori tentennamenti, tutto il racconto provando, di parola in parola, una soddisfazione sempre più crescente. Raccontò come il povero signor Devron, sorretto dai suoi due figli gemelli che viaggiavano con lui nella carrozza, fu accolto a Longbourn-house mentre tutto il personale della casa, diretto dal signor Bennet in persona che per l’occasione aveva interrotto le sue estenuanti ed amate letture in biblioteca, si desse da fare per assicurare al gentiluomo di ripartire il prima possibile.
    Fu durante quella sosta concitata che con grande discrezione e accorta abilità, la signora Bennet seppe che i signori George e William Devron, appena ventenni, avrebbero potuto accogliere le loro future mogli nella suntuosa tenuta nel Kent, nonché passare i lunghi inverni nella Devron House a Londra e che erano in procinto di acquistare l’August House, a soli due miglia da Longbourn-house, e che avrebbero goduto, ciascuno di una rendita annua di 5000 sterline. Una notizia, questa, che indusse la signora Bennet a corrompere il fabbro venuto da Meryton per sistemare l’asse della carrozza e il pranzo, al quale i tre Bennet dovettero, per ragione di forza maggiore, intervenire, si trasformò, grazie alle sue allusioni instancabili e mirate, in una ottima occasione per far interessare, con la dovuta prudenza e il controllo necessario a preservare il buon nome di due signorine, i giovani Devron con le ultime due ragazze Bennet ancora da maritare.
    «Da subito ho compreso, mia cara signora Wilkinson,» concluse la signora Bennet addentando finalmente il pasticcino al burro che aveva tenuto con l’indice e il pollice della mano destra sospeso a metà strada tra il vassoio e la sua bocca «che Kitty e Mary sarebbero state le spose perfette per i signori Devron.»
    L’ospite sorrise, sapeva già cosa avrebbe detto, ora, la sua interlocutrice e infatti fu quello che disse:«Sono stata io, mia cara, a convincere il signor Devron a dare il ballo che ha permesso ai quattro giovani di mostrare, con la dovuta prudenza, la reciproca simpatia e, neanche otto giorni dopo, i signori Devron hanno chiesto un colloquio con il signor Bennet per presentare le loro proposte di matrimonio.» La signora Bennet soddisfatta si rilassò contro lo schienale della piccola poltroncina regency e bevve, trionfante, il suo the.
    E sì, pensò la signora Wilkinson, la signora Gran Ballo meritava appieno il soprannome che le era stato affibbiato da quando aveva convinto gli affittuari di Netherfield Park a dare quel ballo che avrebbe rivelato al signor Bingley e al signor Darcy quanto fossero inaspettatamente propensi a considerare due ragazze di provincia, sufficientemente gradevoli, degne della loro attenzione e, inebriati dalla lenta atmosfera di campagna, credersi discretamente presi al punto da sfidare convenzioni e buon senso per chiederle in mogli.

    [tutti i diritti restano riservati all'autrice]
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