1. La felicità delle sorelle Bennet_Capitolo 3

    AvatarBy memarybo il 4 Oct. 2014
     
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    Capitolo 3

    L’unica delle sorelle Bennet che regolarmente si presentava a Longbourn-house era Lydia, vuoi perchè aveva preteso di continuare a occupare il cottage di Netherfield Park anche quando i signori Bingley lo avevano lasciato per rientrare a Londra, sia perché il capitano Wickham perdonato per le sue innumerevoli goliardie era stato reintegrato nell’esercito e aveva raggiunto il reggimento e il comando assegnatogli.
    Lydia arrivava sempre facendo sfoggio dell’ultimo abito che aveva commissionato e a bordo della carrozza che aveva preteso che fosse acquistata dal marito, con corollario di cocchiere e tre paggetti in livrea rossa ed oro. Non badava a spese e sarti, tappezzieri, orafi entravano ed uscivano in continuazione dall’elegante cottage di Netherfield Park. Del resto aveva poco più di sedici anni e le era riconosciuta tutta l’indulgenza che le spettava sia per la sua giovane età che per la sua infelice condizione di donna.
    Scese dalla carrozza come il vento e lasciò che i lunghi nastri di seta azzurra del cappellino sfiorassero il volto della signora Wilkinson quando si incrociarono sul vialetto di accesso scambiandosi un saluto formale, inchinando appena il capo l’una verso l’altra.
    «O che noiosa, mamam.» Protestò Lydia entrando nel salottino e sprofondando nella poltrona mentre si toglieva guanti e cappellino gettandoli, quasi, tra le mani della vecchia governante, «Come fai a sopportare quella donna?»
    «O cara, ancora un abito nuovo?!» cinguettò con tono di rimprovero la signora Bennet notando lo splendido abito di mussola azzurra indossato dalla figlia.
    Lydia si servì il the e si lamentò con la madre di quanto fosse faticoso stare dietro alla moda, ai sarti e ai loro assurdi conti, di quanto tutti avessero premura di presentare conti su conti e pretendessero anche che fossero saldati al più presto. Di quanto fosse scomodo alloggiare nel cottage di Netherfield Park per il quale, a dir il vero, il signor Bingley non pretendeva l’affitto, ma rimaneva pur sempre piccolo e scomodo, solo dieci stanze, tutte su un unico piano e a stretto contatto con la servitù.
    «E poi, il signor Wickham», lamentò mettendo il broncio come una bambina «pretende di controllare i conti e pensa si possa sopravvivere con solo 700 sterline di rendita l’anno!»
    La signora Bennet sorrise con indulgenza per l’inesperienza della giovane figlia e si mosse per la stanza come un pavone pronto ad esibire la coda in una stupefacente ruota, lieta che il suo ruolo di madre non si fosse esaurito con il matrimonio delle sue figlie. Spiegò alla piccola Lydia che non bisognava mai pagare i conti troppo presto e senza segnalare qualche negligenza altrimenti si sarebbe potuto pensare che loro erano pienamente soddisfatte, «e le persone di rango non sono mai pienamente soddisfatte!»
    Ma neanche far attendere troppo i creditori, avrebbero potuto sospettare che non ci fosse sufficiente patrimonio a garantire il tenore di vita dei committenti e quel che è peggio «mettere in giro voci che si è persone di recente fortuna.»
    La signora Bennet si dilungò spiegando che una signora di rango necessitava di soli due abiti nuovi l’anno e della necessità di rimodernarne con passamaneria costosa e rara, almeno altri tre e poi, per lo standard di Meryton, era sufficiente un cocchiere e una carrozza, meglio a noleggio, soprattutto se si era ospiti di un cottage e la sola governante poteva provvedere all’organizzazione domestica.
    «O mamam, » lamentò Lydia «comincio a credere che il matrimonio sia veramente una noia.»
    «O mia cara, affatto. Affatto!» La rassicurò la signora Bennet abbassando lo sguardo pudica.
    «Allora, hanno scritto almeno a te quelle sconsiderate delle tue sorelle?» Chiese la signora Bennet sperando di ricevere finalmente notizie delle altre figlie e dell’andamento dei loro fortunati e fortunosi matrimoni.
    Lydia scosse il capo addentando l’ennesimo pasticcino al burro preparato per il the.
    «Che ingrate dopo tutto quello che ho fatto per loro… Vacci piano, mia cara, con quei biscotti.» Protestò infine allungando la mano, sottraendo il piattino che li conteneva dalla portata di Lydia e passandolo alla vecchia governante.

    Ma della posta, quella mattina, era stata consegnata a Longbourn-house. Si trattava di una lettera che il signor Bennet, ancora confinato nella Biblioteca, si accinse ad aprire con indifferente lentezza dopo averla rigirata più volte tra le mani.
    Riconosceva con facilità la calligrafia di tutti coloro con i quali scambiava abitualmente della corrispondenza e per il resto di quella che riceveva, la carta pesante, l’indirizzo vergato con eccessivo sfoggio di svolazzi e l’elenco di titoli, gli preannunciava lettere commerciali, o di presentazione, o di raccomandazione; la carta leggera, poco costosa, dal bianco marroncino, le buste chiuse frettolosamente, le intestazioni approssimative erano sicuramente dei conti.
    Ma quella lettera anonima, scritta su carta senza carettere, con calligrafia senza alcun carattere, non lo metteva in grado di fare alcuna previsione.
    Ma perché stare lì ad ipotizzare di cosa si trattasse, non era certo un segno di intelligenza oltre che una perdita di tempo. Sarebbe stato più saggio leggerla e porre fine a tante stupefatte speculazione… e il signor Bennet la lesse.
    All’inizio lentamente e controvoglia, dopodichè, quando l’argomento divenne intrigante, la lettura fu fulminea e strabiliante.
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